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NAPOLI

La posizione geografica della città è particolarmente favorevole, al centro del Mediterraneo, in un ambiente umanizzato e naturale, quello del Golfo dominato dal Vesuvio, un golfo profondo e riparato con un clima mite e temperato. L'antica Neapolis ("Città Nuova") fu fondata da un gruppo di coloni cumani stabilitisi a Palaepolis (Città vecchia), fondata sulla tomba della mitica sirena Partenope, oggi Monte Echia o Pizzofalcone, già insediamento fenicio e poi, nel VII sec. a.C., rodiese. Divenne ben presto la città più importante della Campania. Assediata nel 327 dal console Publilio Filone, si arrese l'anno successivo, divenendo alleata di Roma, alla quale rimase fedele sia durante la spedizione di Pirro sia nel corso della guerra combattuta contro Annibale, pur conservando abitudini e lingua greca. Nonostante la concorrenza del porto di Puteoli (Pozzuoli) e la distruzione subita nell' 82 a.C. da parte dei partigiani di Silla, nell'ultimo secolo della repubblica e durante l'Impero fu assai florida economicamente e famosa, oltre che per le sue bellezze naturali, anche come centro culturale d'impronta greca (Virgilio vi studiò presso la scuola di Sirone, stabilendosi più tardi nella villa forse ereditata dal maestro, e vi fu sepolto). Eretta a municipio nel 90 a.C. e a colonia sotto Claudio, conservò tuttavia fino al Basso Impero la lingua e le istituzioni greche. Oggi non è facile imbattersi a Napoli in resti di origine greca o romana che spesso, tra l'altro, sono sotterranei. Sono visibili qua e là parti di mura di terme, di teatri e di altri edifici, spesso inglobate in costruzioni più recenti, ma i quartieri della città vecchia mantengono quasi intatto il reticolo viario greco-romano; su questo sono sorti in epoche successive edifici medievali e palazzi barocchi. Nella zona dei Campi Flegrei, invece, sono più evidenti costruzioni di epoca antica e veri e propri siti archeologici di rilievo mondiale: Cuma, l’anfiteatro di Pozzuoli, le terme di Baia, per citare solo alcuni dei siti più importanti. La Crypta Neapolitana, situata alle spalle della chiesa di Piedigrotta, presso quella che la tradizione, già dal Medioevo, considerava essere la tomba del poeta Virgilio, scavata nel tufo e lunga più di settecento metri, fu edificata nel periodo repubblicano dall’architetto Cocceio. Quest’ultimo è, probabilmente, l’autore anche dell’altra grotta, detta di Seiano, che collega Posillipo, come già detto zona in cui sorgevano numerose dimore patrizie, con l’attuale Coroglio; permettendo, così, un più agevole tragitto a quanti erano diretti a Pozzuoli e al suo porto. La Crypta Neapolitana, invece, fu costruita per migliorare le comunicazioni tra la città di Napoli e l’area flegrea. Essa fu utilizzata fino alla fine dell’Ottocento. Come già accennato, sin dall’epoca della Repubblica, ma ancor più durante l’Impero, numerosi personaggi illustri si stabilirono lungo le coste del golfo: i romani amavano le terme e nessun luogo come Napoli, soprattutto la zona dei Campi Flegrei, offriva la presenza di fonti termali naturali che crebbero di notorietà nei secoli, diventando luoghi di cura e vacanza per uomini politici e intellettuali. Cesare, Cicerone, Lucullo ebbero qui le loro dimore; questi luoghi, celebrati da Virgilio nell’Eneide, divennero sempre più celebri e sfarzosi, nel lusso delle ville e nella suggestione dell’ambiente naturale. A Posillipo vi era la villa di Publio Vedio Pollione, uomo ricchissimo, molto legato ad Augusto. Questi fece costruire la sua dimora napoletana adattandola all’ambiente naturale della collina di Posillipo, anche il teatro annesso alla villa fu costruito adeguandolo alla pendenza naturale della collina. Nel 476 sull'isoletta di Megaride, dove poi sorse il Castel dell'Ovo, fu imprigionato Romolo Augustolo, ultimo imperatore d'Occidente. Gli Ostrogoti sottomisero Napoli senza difficoltà (493), ma la città venne gravemente danneggiata dalla riconquista bizantina, che si realizzò faticosamente tra il 536 e il 553. Napoli si risollevò sotto l'amministrazione bizantina (rappresentata da giudici e duchi) e sotto il patrocinio dei vescovi, e tanto crebbe in potenza, da respingere tutti i tentativi di conquista dei Longobardi (581, 592, 599) e da imporsi agli stessi Bizantini come una base indispensabile per la conservazione dei loro domini in Italia. In cambio di questa collaborazione, Bisanzio concesse ai Napoletani un'ampia autonomia, fondata essenzialmente sul diritto di eleggere il proprio supremo magistrato, il duca. Per questa via, il vincolo di dipendenza di Napoli dall'imperatore si allentò sempre più e si ruppe di fatto sotto il duca-vescovo Stefano II (763). Capitale per quasi quattro secoli (763-1139) di un ducato che si estendeva molto al di là delle sue mura, Napoli riuscì a salvare la sua libertà e a sviluppare le sue attività economiche e culturali con una politica ora di forza ora di accortezza, che ebbe momenti epici nella lotta, assidua e vittoriosa, contro i musulmani (secc. IX e X) e tortuose vicende nei complicati e instabili rapporti con le altre forze prementi sul Mezzogiorno: il papato, il Sacro romano impero, Bisanzio e i principati locali derivati dal disfacimento del ducato longobardo beneventano. Ma le esigenze contingenti di tale politica indussero il duca Sergio IV di Napoli a favorire il primo insediamento ad Aversa (1030) di quei Normanni che, nel giro di un secolo, sottomisero e unificarono nel regno di Sicilia tutta l'Italia meridionale, Napoli compresa (1139). La conquista fu compiuta da Ruggero II, primo re di Sicilia, a prezzo di una lunga lotta, che nella sua ultima fase impegnò tutto il popolo nella difesa dell'indipendenza della città. Sotto i re normanni Ruggero II (1130-1154), Guglielmo I il Malo (1154-1166) e Guglielmo II il Buono (1166-1189), in mezzo secolo, Napoli si adattò non senza resistenze e sommosse (anche a sfondo sociale: nobili contro popolani) alla parte non più di capitale (la capitale del regno era Palermo), ma di capoluogo di una provincia che conservava il nome di principato di Capua. Ruggero II le garantì l'autonomia amministrativa (con una forte accentuazione aristocratica), Guglielmo I ne consolidò le difese (Castel Capuano, inizio di castel dell'Ovo), Guglielmo II temperò in senso popolare l'amministrazione. Quest'atto conciliò definitivamente i Napoletani coi Normanni così che quando, morto Guglielmo II (1189), Enrico VI di Svevia intraprese la conquista del regno di Sicilia, Napoli si schierò col suo rivale Tancredi di Lecce cugino di Guglielmo II, che la colmò di privilegi e di favori, e ne ebbe in cambio leale e generoso aiuto nella guerra contro lo Svevo, al quale la città si arrese soltanto dopo un'eroica resistenza (1194). Nel 1220 Federico II viene incoronato imperatore e rientra nei territori del regno meridionale per riportare l’ordine nel caos succeduto alla morte di Enrico VI; egli riformò le strutture dello stato, fu un uomo colto, accolse a corte poeti, scienziati e, per quel che riguarda la città di Napoli, fondò l’Università nel 1224. Dopo la morte di Federico II (1250), partecipò attivamente alla lotta antisveva promossa dai papi e, pur avendo per qualche tempo (1254-1266) accettato il dominio di Manfredi, dopo Benevento si sottomise a Carlo d'Angiò (1266), che proprio a Napoli fece decapitare Corradino, ultimo rampollo della casa sveva (1268). Sotto la dinastia angioina (1266-1442) Napoli riacquistò dignità di capitale dopo che la Sicilia, con la rivolta dei Vespri (1282), passò agli Aragonesi; crebbe il suo peso politico, crebbero la popolazione, l'area cittadina (arricchita di nuovi quartieri e monumenti, quali la reggia di Castel Nuovo), le attività economiche e culturali, favorite, queste, anche dal mecenatismo dei re, soprattutto di Roberto il Saggio; anche l'amministrazione cittadina, affidata ai cosiddetti Seggi o Sedili, svolse un'azione abbastanza efficace. Notevoli furono le chiese gotiche costruite in questo periodo: da San Lorenzo Maggiore a Santa Chiara. Alla morte di Roberto il Saggio salì al trono la nipote Giovanna. L'assassinio, forse voluto dalla regina, del principe consorte, Andrea d'Angiò, fratello di re Luigi d'Ungheria, spinse quest'ultimo a muovere alla volta di Napoli a capo del proprio esercito. Re Luigi d'Ungheria saccheggiò la città e fece giustiziare i sospettati dell'uccisione del fratello, poi ritornò al suo paese. La regina Giovanna designò come suo erede Carlo di Durazzo e, poi, Luigi d'Angiò. Carlo di Durazzo si impadronì del regno nel 1371 e fece uccidere la regina. Alla morte di Carlo vi furono anni di dure lotte per la successione. Alla fine Giovanna, sorella di Ladislao, il quale era figlio di Carlo e fu incoronato re a quindici anni, ma morì a soli trentotto anni, divenne a sua volta regina. Non avendo eredi, Giovanna di Durazzo adottò Alfonso V d'Aragona, ma poi ci ripensò. Alfonso, invece, non rinunciò e assediò Napoli, stroncando le ultime vane speranze e resistenze degli epigoni della casa d'Angiò. La prima cosa che farà il nuovo re sarà costruire un segno del suo potere su quello che è il simbolo del vecchio potere. Verrà, così, costruito l’Arco trionfale all’ingresso del Maschio Angioino; esso darà gloria eterna al nuovo sovrano e sostituirà, nel ricordo del popolo, i vecchi dominatori con i nuovi appena giunti. L’Arco, a somiglianza di quanto facevano gli imperatori romani (siamo all’inizio dell’Umanesimo e mai Roma antica è stata sentita così vicina), mostra l’ingresso trionfale di re Alfonso nella città di Napoli. Non si conosce con certezza il nome dell’autore dell’Arco, tra i nomi più accreditati c’è Luciano Laurana, il Pisanello, Guglielmo da Majano e Pietro da Milano. Alfonso fece ristrutturare il Castel Nuovo dall’architetto aragonese Guglielmo Sagrera, che diede all’edificio l’aspetto che noi vediamo oggi. Durante il regno aragonese vi sarà un periodo di pace e prosperità, in cui artisti toscani, lombardi e catalani si trovarono ad operare insieme con artisti locali. E’ fu molto proficuo lo scambio che avvenne tra gli artisti locali e quelli stranieri, i quali importarono, spesso, a Napoli tecniche e forme artistiche nuove. Porta Capuana, la tomba del cardinale Brancaccio (unica opera napoletana di Donatello), il palazzo di Diomede Carafa, sono solo alcuni degli esempi di architettura napoletana in questo periodo. Nonostante ciò Alfonso V (I) e Ferdinando I (Ferrante) non riuscirono ad arrestare le crescenti correnti avverse che, dopo l'ammonitrice congiura dei Baroni (1485- 1486), si manifestarono nell'accoglienza trionfale a Carlo VIII di Francia (1495) e successivamente nelle lotte franco-spagnole, che si conclusero nel maggio 1503 con l'ingresso di Consalvo di Cordova, il quale prese possesso di Napoli in nome di Ferdinando II (III) il Cattolico. Durante il regime dei viceré spagnoli (1503-1707), Napoli mantenne una formale autonomia, ebbe una rigogliosa ripresa urbanistica, prese, soprattutto ai tempi dell'imperatore Carlo V, respiro di metropoli di importanza e fama internazionali; ma pagò tutto questo a caro prezzo; tanto più caro quanto più il predominio della Spagna, dopo l'apogeo, venne declinando nel XVIIsec. In un ambiente di stridenti contrasti culturali ed economico- sociali e sotto il peso di un fiscalismo sempre più pesante, scoppiò la rivolta popolare legata al nome di Masaniello (1647), seguita da un infelice esperimento repubblicano e da un tentativo di occupazione francese e conclusa col ritorno allo status quo (1648), con l'aggravante di un tenace strascico di rancori, e di sussulti politici e sociali, caratterizzati da costanti conflitti tra nobili e popolani e da mutevoli atteggiamenti degli uni e degli altri nei confronti dei dominatori spagnoli. Il passaggio dalla dominazione spagnola all'austriaca, durata dal 1707 al 1734, non modificò la formula del regime vicereale, né le condizioni generali della popolazione; suscitò anzi qualche rimpianto del passato, tanto che l'avvento di Carlo III (VII) di Borbone (1734-1759), figlio del re di Spagna Filippo V, vincitore degli Austriaci e istauratore della nuova dinastia, fu accolto dai Napoletani con largo favore, come inizio della restaurazione della città nel rango di capitale di un regno indipendente e sovrano. I Borboni non delusero le aspettative dei loro nuovi sudditi: Carlo e il suo successore Ferdinando IV diedero un notevole impulso alla vita della città sotto ogni aspetto: politico-amministrativo, monumentale, soprattutto culturale (G. B. Vico e gli illuministi Genovesi, Galiani, Pagano, Filangieri, ecc.) e intrapresero alcune riforme d'ispirazione illuministica. La Rivoluzione francese e le conseguenti guerre coinvolsero Napoli, dove si susseguirono l'effimera Repubblica Partenopea (1799), espressione della volontà di un'esigua minoranza "giacobina" senza radici nella popolazione, e l'occupazione francese, che portò al trono prima Giuseppe Bonaparte, poi Gioacchino Murat. Nel periodo francese (1806- 1815), la città ebbe nuova amministrazione (i decurioni, per altro già introdotti da Ferdinando IV nel 1800) e nuovo incremento urbanistico e culturale; ma ciò non bastò a far dimenticare, soprattutto al popolo minuto e al clero, la vecchia dinastia riparata a Palermo. Perciò la restaurazione dei Borboni, ora in veste di re delle Due Sicilie (Ferdinando IV, ora I, Francesco I, Ferdinando II, Francesco II, dal 1815 al 1860), fu accolta con soddisfazione dalla maggioranza della popolazione. La città di Napoli, nonostante lo spirito retrivo e l'inerzia dei re, continuò a progredire: a Napoli fu costruito il primo battello a vapore (Ferdinando I, 1818), inaugurata la prima ferrovia (la Napoli-Portici, 1839), adottate le prime comunicazioni telegrafiche d'Italia. A questo Napoli concorse coi moti del 1820-1821 e del 1848, entrambi tragicamente falliti; le iniziative liberali di Francesco II (concessione della costituzione, giugno 1860) anticiparono di pochi mesi la conquista di Garibaldi (7 settembre) e la formale annessione del regno agli Stati sabaudi (plebisciti dell'ottobre). Da quel momento la storia di Napoli si inserisce nella storia d'Italia.

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